Il 19 Maggio BuonAbitare ha partecipato al secondo dei tre appuntamenti “Wake-up talk: abitare”, le colazioni organizzate da Zup Lab – the recipe for change sul tema dell’abitare.

Il secondo incontro ha affrontato il tema “Strumenti, processi e tecniche per costruire e mantenere comunità” e ne abbiamo parlato al Caffè Gorille, con Roberta Conditi e Luciana Pacucci (Fondazione Housing Sociale) Paola Vitali (Ferruccio Degradi), Marianna Taborelli e Maria Chiara Cela (DarCasa), Angelo Foglio (Comune di Milano), Francesco di Gregorio (Sunia).

Durante la colazione sono state presentate due esperienze. La prima, di Fondazione Housing Sociale, su Borgo Figino, un progetto che ha previsto la costruzione di un complesso di alloggi di housing sociale in un quartiere di Milano, ex borgo agricolo, nella zona nord-ovest della città. La seconda esperienza è stata raccontata da noi di BuonAbitare, che abbiamo parlato del lavoro dell’Equipe Integrata di Comunità, che si è sviluppato dentro a un più ampio progetto di coesione sociale finanziato da Fondazione Cariplo.

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Nel progetto di Borgo Figino sono state due le comunità al centro delle azioni che hanno preceduto e seguito la costruzione degli edifici. Anzitutto è stato molto importante curare la relazione con la comunità “allargata”, vale a dire con le persone che già vivevano nel quartiere e che, inevitabilmente, si sarebbero relazionate con gli abitanti dei nuovi alloggi. Roberta e Luciana raccontano i timori degli abitanti riguardo alla possibilità che si costruissero alloggi Erp e il conseguente lavoro che è stato fatto per evitare che si delineasse una netta differenziazione fra “vecchi” e “nuovi”. Così gli abitanti sono stati costantemente informati sugli avanzamenti dei lavori, sulla tipologia di alloggi che sarebbero stati costruiti e sono stati coinvolti nella fase di progettazione attraverso incontri aperti. In queste occasioni alcuni degli strumenti utilizzati sono stati più di natura “procedurale”, come le riunioni programmate e gli strumenti usati per facilitare la discussione e il coinvolgimento, altri maggiormente legati al sentimento delle persone che lavoravano al progetto, che, per esempio, hanno deciso autonomamente di mettere a disposizione il proprio cellulare. Insieme al rapporto con la vecchia comunità, un grosso lavoro è stato fatto per costruire quella nuova, partendo dalla selezione degli abitanti, passando per la fase di start up di comunità, per arrivare  all’autonomizzazione degli abitanti. In questo percorso diversi sono stati gli strumenti utilizzati, dai laboratori di simulazione di vita comunitaria, agli strumenti digitali per costruire gruppi di interesse e attività comuni, fino agli incontri a teatro e alle cene comunitarie.

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Come BuonAbitare abbiamo parlato dell’esperienza dell’Equipe Integrata di Comunità, un gruppo di sei operatori coinvolto in un’azione di promozione dei legami sociali e delle relazioni di fiducia in zona Corvetto, un quartiere di Milano a prevalente edilizia residenziale pubblica. Gli operatori hanno lavorato con diversi obiettivi: creare di un senso di appartenenza positivo al quartiere, migliorare il livello di responsabilità sociale degli abitanti, ridurre la microconflittualità, promuovere forme di attivazione e auto organizzazione delle persone e facilitare la raccolta di bisogni sommersi altrimenti difficilmente riconoscibili. Rispetto a questi ultimi, gli operatori si sono interfacciati con problematiche svariate e complesse: la solitudine degli anziani, le difficoltà socio-economiche di famiglie e singoli, la necessità di conciliare i tempi di vita e lavoro, la difficoltà ad accedere ai servizi sul territorio, il degrado degli spazi pubblici e degli spazi comuni, la difficoltà di relazione con i nuovi assegnatari degli alloggi e con l’ente gestore. In questo contesto il principale strumento degli operatori è stato un intenso lavoro di prossimità,  che ha significato bussare porta a porta agli abitanti per conoscerli e farsi conoscere, segnalare la propria presenza con una carriola “provocatoria”, attendere le persone nei luoghi di passaggio, parlare con loro, organizzare incontri periodici ed eventi di socializzazione. In questo modo è stato possibile costruire relazioni di fiducia con le persone e, nel corso del tempo, coinvolgerle in forme di partecipazione attiva alla vita del quartiere. Per fare un esempio, alla fine del progetto gli abitanti di uno dei cortili coinvolti si sono organizzati in un comitato di autogestione grazie al quale sono stati realizzati diversi interventi di manutenzione e abbellimento delle parti comuni.

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Cosa insegnano le due esperienze raccontate durante la colazione sugli strumenti e sui processi per costruire e mantenere comunità?

Anzitutto è emerso come diverse possano essere le basi su cui fondare una comunità di abitanti e, di conseguenza, gli elementi su cui lavorare per mantenerla viva nel tempo. Nel caso di Borgo Figino le persone hanno scelto di aderire al progetto e di andare a vivere in quel luogo, anche sulla base della condivisione di una precisa idea di abitare.  In questa comunità, per certi versi elettiva, è stato importante quindi lavorare per capire come mettere insieme le persone, facilitare la comunicazione fra loro e trovare strumenti che le aiutassero a fare meno fatica nel “coltivare” forme di condivisione che crescevano in un terreno in un certo modo già fertile.

Con l’equipe integrata di comunità il lavoro è stato fatto con persone che non hanno scelto di vivere insieme e, nella maggior parte dei casi, non hanno deciso neppure il luogo in cui abitare. In questo contesto e in questa comunità quindi è stato di fondamentale importanza non solo coinvolgere e responsabilizzare le persone ma capire insieme a loro come convivere con problemi molto spesso non risolvibili. Questo è un aspetto fondamentale per il lavoro di BuonAbitare e in questo senso l’esperienza dell’equipe è stata molto preziosa per capire come il compito degli operatori non possa considerarsi finito di fronte a problemi irrisolvibili.

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Entrambe le esperienze poi hanno portato a riflettere su come, a prescindere dai presupposti sui su cui si fonda una comunità di abitanti, il tempo sia una risorsa fondamentale per lavorare alla sua costruzione e al suo mantenimento.

In entrambi i progetti infatti è stato necessario un grosso investimento temporale e alcuni dei risultati in termini di attivazione e coinvolgimento delle persone sono emersi anche dopo la fine del progetto. È quanto è accaduto per la formazione del comitato di autogestione in uno dei cortili del Corvetto, e lo stesso è successo a Borgo Figino, dove la fase di start up delle comunità è andata ben oltre la fase temporale definita dal progetto. Il tempo da investire quindi, quando si parla di sviluppo di comunità, è sempre lungo e spesso i confini stabiliti nella fase di progettazione diventano sfumati. Come BuonAbitare pensiamo che questo aspetto debba sempre esser tenuto in considerazione, a livello operativo da chi lavora con le comunità, e a livello progettuale da attori pubblici e privati coinvolti nell’ideazione e nel finanziamento di interventi nei contesti abitativi. Solo attraverso un tale approccio infatti nelle comunità le difficoltà possono essere affrontate e le risorse coltivate.

Silvia Mele