Per le persone che ci vivono, la casa non è solo muri, impianti, soffitti e pavimenti. La casa è sentimenti, progetti, ricordi.

È qualcosa di tangibile e intangibile nello stesso tempo, ed è molto importante per l’identità personale e familiare. Le persone stanno dentro la casa, ma la casa sta dentro le persone. Insomma, la casa non è solo un bene materiale. È anche un bene simbolico e un  oggetto di investimento affettivo e un contenitore di sentimenti ed emozioni. Positivi o negativi. 

Normalmente nella cura della casa le persone investono le loro energie, il loro gusto, la loro creatività e il loro affetto. Ma sulla casa si può anche scaricare la rabbia e, a volte, l’odio che si origina nelle relazioni disturbate, nella mancanza di ascolto da parte delle istituzioni, nelle frustrazioni della vita quotidiana. I danni all’abitazione e al condominio, che poi gravano anche sui costi di manutenzione, non derivano solo dall’incuria e dalla mancanza di rispetto per un bene non proprio. In alcuni casi, sono un modo per comunicare il disagio e i danni sono prodotti intenzionalmente per manifestare la rabbia contro istituzioni ritenute ostili e ingiuste.

Nei contesti di degrado, inoltre, le persone faticano a riconoscere la propria responsabilità e spesso non sono disponibili a collaborare. Dall’Amministrazione comunale o dall’Ente gestore pretendono tutto, lamentandosi di non ottenere niente. Tutto questo alimenta la spirale del degrado, del senso di impotenza e della rabbia, rende ulteriormente difficili i rapporti con gli enti e aumenta i costi dei servizi e della manutenzione.

Il risultato è diverso se le persone, ascoltate e “accudite”, sono serene, amano la propria casa e hanno buone relazioni di vicinato. Parlare con loro è più facile, la loro disponibilità a fare qualcosa e ad assumersi qualche responsabilità aumenta ed è possibile scoraggiare le richieste assistenziali improprie o eccessive e valorizzare le competenze che le persone hanno.

Ma come ottenere questo con persone spesso provate dalla vita e talvolta con risorse limitate? Scoraggiate, arrabbiate o impotenti? Abituate a chiedere, a delegare, a rivendicare, ma incapaci di dialogare e di assumersi responsabilità?

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Non possiamo certo pensare di cambiare le persone. Ma non possiamo neanche pensare che sia sufficiente mettere delle nuove e più severe regole. Per partire con il piede giusto dobbiamo  comprendere che il comportamento delle persone non dipende solo dal loro carattere e dalla storia personale/familiare che hanno; dipende anche da come le stesse sono o si sentono trattate dalle istituzioni e dai servizi, da quanto sono ascoltate le loro richieste di aiuto, anche quando le stesse riguardano la casa, dal clima sociale che caratterizza il contesto e da quanto ci si prende cura delle loro relazioni.

Un dato di evidenza empirica è che le persone abbandonate a loro stesse finiscono con il comportarsi in modo incivile. L’abbandono aumenta la conflittualità nelle relazioni e le “rivendicazioni scomposte” verso gli enti e, paradossalmente, le richieste ai servizi.

La distinzione e la separazione dei soggetti che si occupano dell’abitazione e di quelli che si occupano delle persone non permette di vedere il problema nella sua globalità, di considerare la molteplicità dei fattori che concorrono a creare il disagio e quelle miscele esplosive che alimentano la conflittualità e il degrado e non permettono di valorizzare le risorse presenti nella prossimità.

Gli operatori che hanno accesso all’abitazione per aspetti legati alla manutenzione, entrano necessariamente in relazione con le persone. Ad essi arrivano direttamente o indirettamente una serie di problemi che non sono solo tecnici. Direttamente perché le persone, spinte da un forte bisogno di ascolto, spesso espongono il loro disagi e le loro esigenze senza preoccuparsi dell’identità e delle competenze dell’interlocutore. Ma anche indirettamente, perché incontrare le persone a casa loro permette di avere molte più informazioni di quelle che si possono ottenere con un colloquio in un servizio e quindi di venire a conoscenza di situazioni problematiche, di disagi non conosciuti ai servizi.
Dall’altra parte, gli operatori di servizi alla persona, quando si recano a casa dei loro assistiti, vedono i problemi strutturali che possono essere causa o effetto di disagio e potrebbero segnalarli.

Tuttavia, nella situazione attuale di contrazione di risorse, ciò che può accadere è che gli uni (tecnici) e gli altri (operatori sociali) siano in una posizione di difesa e che si vedano reciprocamente più come minaccia che come risorsa. Tutti hanno già abbastanza problemi di cui occuparsi e non hanno certo bisogno che qualcuno li vada a cercare e glieli segnali.

Questo a ben guardare è un grave errore. Occorre considerare l’abitazione e le persone come un unico sistema e mettere a punto un’organizzazione diversa dei servizi di prossimità all’abitare: solo così si potranno affrontare i problemi in modo più efficace, risparmiando risorse e migliorando la qualità della vita delle persone.

Elvio Raffaello Martini