Descrizione Progetto
L’associazione promuove e sostiene il buon abitare nei contesti ERP assistendo gli enti interessati a progettare e realizzare il servizio di Tutor di condominio.
I problemi sociali aumentano
Nei quartieri così detti popolari, (ma il problema non riguarda solo questi), si verifica spesso una forte concentrazione di disagi personali e/o familiari, dovuta in gran parte ai meccanismi di assegnazione degli alloggi, ma non solo a questo. Il disagio, presente in questi contesti in forma crescente, dipende anche dagli strumenti e dalle modalità adottate per gestirlo, contenerlo, contrastarlo e dalla disponibilità di servizi appropriati per farsene carico.
In genere gli enti preposti alla gestione degli alloggi e quelli che si occupano delle persone sono diversi e spesso non collaborano nella misura in cui sarebbe necessario. L’ente gestore si occupa della gestione e della manutenzione degli alloggi. I servizi sociali si occupano dei “casi” che hanno in carico, intervenendo con i propri strumenti: sostegno economico quando la persona o la famiglia non è in grado di sostenere il canone o di pagare le bollette, assistenza domiciliare, accompagnamento, ecc.
I servizi sanitari, medicina di comunità, servizi di igiene mentale, sert, ecc. seguono i loro pazienti dal punto di vista sanitario. Ciascun servizio si occupa della parte che lo riguarda, ma a nessuno è richiesto di avere una visione di insieme. Servizi alla persona da una parte, gestione immobiliare dall’altra e servizi sanitari da un’altra ancora e nessuno ha il compito specifico di occuparsi della qualità dell’abitare e, tanto meno, della qualità della convivenza, di promuovere relazioni civili e di buon vicinato fra le persone che sono vicini di casa.
Con le dovute eccezioni, questo è il quadro generale che ci troviamo di fronte. In una situazione di crescente complessità sociale e con risorse sempre più scarse. Tutto ciò rende ancora più urgente inventare qualcosa di inedito per far fronte ad una situazione che ha costi sociali e personali molto elevati e che rischia di degenerare e compromettere seriamente la qualità della convivenza sociale nei contesti di vicinato e, di conseguenza, la qualità della vita delle persone e del quartiere.
IL TUTOR DI CONDOMINIO
Un modo nuovo di guardare ai problemi
L’ipotesi che guida la presente proposta è che se considerassimo l’abitazione e le persone come un tutt’uno, un unico sistema, e mettessimo a punto un’organizzazione diversa per fornire servizi di prossimità all’abitare, potremmo affrontare i problemi in modo più efficace, risparmiare risorse e migliorare la qualità della convivenza sociale e dell’abitare.
Per le persone che ci vivono, la casa non è solo muri, impianti, soffitti e pavimenti. La casa è sentimenti, progetti, ricordi. È qualcosa di tangibile e intangibile nello stesso tempo, e molto importante per l’identità personale e familiare. Le persone stanno dentro la casa, ma la casa sta dentro le persone. Insomma, la casa non è solo un bene materiale. È anche un bene simbolico e un oggetto di investimento affettivo e un contenitore di sentimenti ed emozioni. Positivi o negativi.
Normalmente nella cura della casa le persone investono le loro energie, il loro gusto, la loro creatività e il loro affetto. Ma sulla casa si può anche scaricare la rabbia e, a volte, l’odio che si origina nelle relazioni disturbate, nella mancanza di ascolto da parte delle istituzioni, nelle frustrazioni della vita quotidiana. I danni all’abitazione e al caseggiato, che poi gravano anche sui costi di manutenzione, non derivano solo dall’incuria e dalla mancanza di rispetto per un bene non proprio. In alcuni casi, sono un modo per comunicare il disagio e i danni sono prodotti intenzionalmente per manifestare la rabbia contro istituzioni ritenute ostili e ingiuste.
Nei contesti di degrado, inoltre, le persone faticano a riconoscere la propria responsabilità e spesso non sono disponibili a collaborare. Dall’Amministrazione comunale o dall’Ente gestore pretendono tutto, ovviamente, lamentandosi di non ottenere niente. Tutto questo alimenta la spirale del degrado, del senso di impotenza, della rabbia, rende ulteriormente difficili i rapporti con gli enti e aumenta i costi dei servizi e della manutenzione.
Il risultato è diverso se le persone, ascoltate e “accudite”, sono serene, amano la propria casa, ci stanno bene e se ne prendono cura e hanno buone relazioni di vicinato. Parlare con loro è più facile, la loro disponibilità a fare qualcosa e ad assumersi qualche responsabilità aumenta ed è possibile scoraggiare le richieste assistenziali improprie o eccessive e valorizzare le competenze che le persone hanno.
Ma come ottenere questo con persone spesso provate dalla vita e talvolta con risorse limitate? Scoraggiate, arrabbiate o impotenti? Abituate a chiedere, a delegare a rivendicare, ma incapaci di dialogare e di assumersi responsabilità?
Non possiamo certo pensare di cambiare le persone. Ma non possiamo neanche pensare che sia sufficiente mettere delle nuove e più severe regole. Per partire con il piede giusto dobbiamo comprendere che il comportamento delle persone non dipende solo dalle loro caratteristiche intrinseche, cioè da come sono fatte e dalla storia personale/familiare che hanno. Dipende anche da come le stesse sono o si sentono trattate dalle istituzioni e dai servizi, da quanto sono ascoltate le loro richieste di aiuto, anche quando le stesse riguardano la casa, dal clima sociale che caratterizza il contesto e da quanto ci si prende cura delle loro relazioni.
Un dato di evidenza empirica è che le persone abbandonate a loro stesse finiscono con il comportarsi in modo incivile. L’abbandono aumenta la conflittualità nelle relazioni e le “rivendicazioni scomposte” verso gli enti e, paradossalmente, le richieste ai servizi
La distinzione e, come già detto, la separazione dei soggetti che si occupano dell’abitazione e di quelli che si occupano delle persone non permette di vedere il problema nella sua globalità, di considerare la molteplicità dei fattori che concorrono a creare il disagio e quelle miscele esplosive che alimentano la conflittualità e il degrado e non permettono di valorizzare le risorse presenti nella prossimità.
Gli operatori che hanno accesso all’abitazione per aspetti legati alla manutenzione, entrano necessariamente in relazione con le persone. Per questi operatori avere a che fare con le persone non è un lavoro facile: le persone sono fatte a modo loro. A volte sono esigenti, a volte aggressive; ce l’hanno con il mondo e qualsiasi pretesto è buono per lamentarsi. Hanno i loro pregiudizi nei confronti dell’amministratore, degli operatori del comune, dell’ente gestore, spesso ritenuti più attenti ai propri interessi che a quelli delle persone che vivono nel condominio.
Agli operatori che hanno a che fare con le persone per problemi che riguardano l’alloggio arrivano direttamente o indirettamente una serie di problemi che non sono solo tecnici. Direttamente perché le persone, spinte da un forte bisogno di ascolto, spesso espongono il loro disagi e le loro esigenze senza preoccuparsi dell’identità e delle competenze dell’interlocutore. Ma anche indirettamente, perché incontrare le persone a casa loro permette di avere molte più informazioni di quelle che si possono ottenere con un colloquio in un servizio e quindi di venire a conoscenza di situazioni problematiche, di disagi non conosciuti ai servizi. Dall’altra parte, gli operatori di servizi alla persona, quando si recano a casa dei loro assistiti, vedono i problemi strutturali che possono essere causa od effetto di disagio e possono segnalarli.
Nella situazione attuale, in cui tutti sono già più che in affanno, ciò che può accadere è che gli uni ( tecnici) e gli altri (operatori sociali) siano in una posizione di difesa e che si vedano reciprocamente più come minaccia che come risorsa. Tutti hanno già abbastanza problemi di cui occuparsi e non hanno certo bisogno che qualcuno li vada a cercare e glieli segnali.
I servizi e gli enti oggi hanno semmai bisogno che qualcuno prevenga i problemi o li intercetti sul nascere, che ne risolva il maggior numero possibile sul campo, che aiuti le persone a formulare richieste corrette, evitando o almeno riducendo il numero delle “rivendicazione scomposte”.
La questione diviene anche più complessa rispetto al tema della difficile convivenza condominiale o di vicinato, causa e al tempo stesso effetto del disagio delle persone e delle famiglie.
Come possiamo pensare che persone, spesso così diverse fra loro, che a fatica riescono a gestire la propria vita, possano da sole essere in grado di realizzare una convivenza serena?
Come si fa a pensare che persone così diverse fra loro per età, provenienza, cultura, condizioni economiche, idee, abitudini, istruzione, ecc. possano vivere in armonia?!
Ci sono i regolamenti. Ma qualora siano effettivamente utili, cosa che non sempre è vera, chi ha il compito di farli rispettare? E come? Spesso non sono conosciuti, a volte sono anacronistici e spesso, non potendo contare sulla condivisone necessaria non hanno alcun valore per le persone.
A chi compete il compito di presidiare la qualità della convivenza? chi ne è responsabile? chi è chiamato a fare qualcosa per presidiarla e a renderne conto?
Se hanno un problema tecnico che riguarda l’alloggio le persone sanno a chi rivolgersi, anche se non sempre sono contente dell’ attenzione e delle riposte che ricevono. Se hanno un problema di salute, sanno dove andare. Ma se hanno un problema con il proprio vicino, a chi possono chiedere aiuto? A chi possono rivolgersi se la convivenza non funziona ed è motivo di disagio? Spesso si rivolgono all’Ente gestore. Ma non sempre trovano risposte adeguate a questo genere di problemi, perché il soggetto Gestore non sempre è attento a questi aspetti e non sempre dispone delle competenze necessarie per affrontarli. Inoltre, alcune situazioni non sono risolvibili, bisogna imparare a conviverci, contenendo il danno.
Alla mancanza di interlocutori per questo genere di difficoltà, va aggiunto che si assiste oggi ad una perdita di competenze relazionali: le persone sembrano sempre più in difficoltà ad istaurare, mantenere, curare le relazioni interpersonali e sociali soddisfacenti. E ciò è aggravato dal fatto che i vicini spesso sono sconosciuti, vengono da altri paesi, a volte parlano altre lingue. Il numero delle liti condominiali è in costante aumento.
Se fra i diversi soggetti istituzionali c’è un patto chiaro e condiviso che contiene l’impegno a promuovere e presidiare la qualità dell’abitare nel senso qui descritto, i diversi operatori che agiscono sul campo possono fare un gioco di squadra diverso da quello che fanno attualmente e sperimentare percorsi nuovi per fornire sostegno alle persone e alle famiglie.
Nell’ambito di questa ricerca di “formule innovative” si colloca il progetto tutor di condominio.
Il Tutor di Condominio
In termini generali il tutor di condominio è un operatore sociale di prossimità che ha il compito di presidiare la qualità della vita del e nel contesto abitativo a lui assegnato. Come figura di prossimità e avamposto dei servizi sul territorio, il tutor potrebbe permettere di affrontare in modo efficace il disagio abitativo e relazionale e i problemi del degrado urbano a livello micro locale. Ma potrebbe permettere anche di realizzare un risparmio attraverso una maggiore efficienza nella gestione/manutenzione degli immobili, una maggiore cura dell’ambiente fisico da parte di chi ci abita e la riduzione degli atti di incuria e di vandalismo.
Il tutor di condominio si differenzia da altre figure professionali limitrofe, come il custode sociale, l’amministratore condominiale, l’assistente sociale, il mediatore sociale, l’addetto al rapporto con l’inquilinato dell’ufficio alloggi o dell’ente gestore. La principale differenza sta nel mandato e nelle competenze che sono in gioco. Il tutor si occupa in primo luogo dell’insieme dei residenti, delle loro relazioni, della vita del condominio e dei problemi di singole persone/famiglie, a prescindere dalla loro condizione e anche di coloro che non sarebbero elegibili per un intervento diretto dei servizi sociali.
Il tutor di condominio ha il compito di:
- fornire ascolto alle persone per ogni esigenza o necessità
- intercettare i problemi sul nascere , indipendentemente dalla loro natura
- risolvere sul posto e in autonomia le problematiche che non richiedono un intervento specialistico o tecnico e segnalare gli altri a chi di dovere
- collaborare con gli enti alla soluzione di problemi che richiedono un rapporto diretto con gli inquilini (ad esempio, percorsi di recupero delle morosità)
- aiutare le persone a formulare domande nei termini appropriati e agli interlocutori giusti
- raccogliere proposte e suggerimenti e promuovere l’empowerment di individui e famiglie
- attuare interventi di mediazione sociale, favorendo lo sviluppo del senso di comunità e le relazioni di vicinato
- promuovere la nascita di organizzazioni di comunità
- accompagnare l’ingresso di nuove famiglie nei condomini
Ci sono i regolamenti. Ma qualora siano effettivamente utili, cosa che non sempre è vera, chi ha il compito di farli rispettare? E come? Spesso non sono conosciuti, a volte sono anacronistici e spesso, non potendo contare sulla condivisone necessaria non hanno alcun valore per le persone.
A chi compete il compito di presidiare la qualità della convivenza? chi ne è responsabile? chi è chiamato a fare qualcosa per presidiarla e a renderne conto?
Se hanno un problema tecnico che riguarda l’alloggio le persone sanno a chi rivolgersi, anche se non sempre sono contente dell’ attenzione e delle riposte che ricevono. Se hanno un problema di salute, sanno dove andare. Ma se hanno un problema con il proprio vicino, a chi possono chiedere aiuto? A chi possono rivolgersi se la convivenza non funziona ed è motivo di disagio? Spesso si rivolgono all’Ente gestore. Ma non sempre trovano risposte adeguate a questo genere di problemi, perché il soggetto Gestore non sempre è attento a questi aspetti e non sempre dispone delle competenze necessarie per affrontarli. Inoltre, alcune situazioni non sono risolvibili, bisogna imparare a conviverci, contenendo il danno.
Alla mancanza di interlocutori per questo genere di difficoltà, va aggiunto che si assiste oggi ad una perdita di competenze relazionali: le persone sembrano sempre più in difficoltà ad istaurare, mantenere, curare le relazioni interpersonali e sociali soddisfacenti. E ciò è aggravato dal fatto che i vicini spesso sono sconosciuti, vengono da altri paesi, a volte parlano altre lingue. Il numero delle liti condominiali è in costante aumento.
Se fra i diversi soggetti istituzionali c’è un patto chiaro e condiviso che contiene l’impegno a promuovere e presidiare la qualità dell’abitare nel senso qui descritto, i diversi operatori che agiscono sul campo possono fare un gioco di squadra diverso da quello che fanno attualmente e sperimentare percorsi nuovi per fornire sostegno alle persone e alle famiglie.
Nell’ambito di questa ricerca di “formule innovative” si colloca il progetto tutor di condominio.
Target, ambito territoriale di riferimento e modalità operative
Il servizio è rivolto a tutte le persone che abitano in un numero definito di fabbricati di Edilizia Residenziale Pubblica nei quartieri popolari della città, con precedenza a quelli dove c’è maggiore concentrazione di disagio. La scelta degli stabili da coinvolgere nel progetto viene effettuata congiuntamente da Servizi sociali, Ufficio casa/alloggi del Comune e dall’Ente Gestore, sulla base di criteri condivisi.
I tutor lavorano a coppie, possibilmente costituite da un maschio e una femmina.
La coppia dei tutor si occupa del condominio assegnato e, quindi, di tutto ciò che vi accade. Incontra le persone nel luogo dove abitano e non ha filtri prima di lui. È la figura più prossima alle persone che abitano nello stabile in cui opera. In questa condizione incontra le persone e i problemi che le stesse hanno, in una varietà e quantità non prevedibile e non quantificabile a priori. Per questa sua collocazione e affinché la prossimità sia reale, è necessario che il tutor sia reperibile regolarmente durante l’orario di lavoro, attraverso un cellulare di servizio.
Il tutor può agire in maniera pro-attiva rispetto agli abitanti (sulla base di input ricevuti dai servizi) oppure può essere attivato dai residenti che si rivolgono a lui per segnalare problemi o per chiedere aiuto.
In generale il tutor fornisce e riceve informazioni, formula e riceve domande, ascolta, orienta e accompagna, singoli cittadini e famiglie.
Quando ve ne sia la necessità, il tutor promuove, organizza e conduce incontri di gruppo tra i condòmini e, se presenti, fornisce supporto a gruppi creati autonomamente dai residenti e alle iniziative autopromosse.
Il tutor opera in stretto contatto con i Servizi Sociali e con l’Ufficio Alloggi del Comune e l’ente gestore attraverso incontri con singoli operatori e la partecipazione a riunioni periodiche per valutare l’andamento del lavoro.
In sintesi, ai tutor viene richiesto di:
- Facilitare l’incontro tra gli abitanti (inquilini, famiglie, cittadini) e i servizi:
- Intercettare i bisogni, le vulnerabilità e le domande inespresse in una fase iniziale, evitando che si aggravino o quei bisogni che non arriverebbero mai servizi;
- Informare, orientare e inviare ai servizi appropriati in relazione agli specifici bisogni.
- Promuove e sostenere l’empowerment di famiglie, singoli individui, gruppi di residenti e le iniziative di auto e mutuo aiuto
- Valorizzare le risorse della prossimità (del vicinato, delle realtà del quartiere ecc) e facilitare la convivenza
La sede di lavoro della coppia dei tutor è il condominio dove trascorrono almeno 2/3 del loro tempo lavoro, assicurando una presenza regolare e continuativa, ma anche flessibile nell’arco della settimana.
E’ importante che nel condominio sia disponibile uno spazio che possa essere la sede dei tutor e nel quale sia possibile anche organizzare attività con i condomini.
Per maggiori informazioni contattare:
Daniel Martini – [email protected]